Emarginazione sociale e Covid: cresce tra gli adolescenti italiani il fenomeno “hikikomori”

La pandemia da Covid-19 ha sconvolto la vita a miliardi di persone sparse in tutto il mondo. Oltre a chi ha manifestato sintomi di natura fisica, ci sono coloro che hanno sviluppato disturbi psicologici per gli effetti indiretti del Sars-CoV-2: le misure restrittive, i coprifuochi notturni, la perdita di milioni di posti di lavoro e i lockdown forzati; situazioni pesanti che hanno scatenato in diverse persone un mix di ansia, psicosi e paura. 

Una forma di grave emarginazione sociale è stata descritta frequentemente in Giappone con la denominazione di hikikomori, termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte”. Raffigura un quadro con adolescenti e giovani adulti che si recludono volontariamente nelle case dei loro genitori, incapaci di lavorare o andare a scuola per mesi o anni.  

Gli hikikomori italiani, secondo stime recenti, sono circa 100mila e sono in costante crescita. Si tratta soprattutto di giovani uomini, di età compresa tra i 14 e i 30 anni. In Giappone, dove il fenomeno è nato, sono oltre un milione.  

L’hikikomori secondo le categorie diagnostiche 

Recentemente, alcuni professionisti della salute mentale hanno provato a classificare l’hikikomori secondo determinate categorie diagnostiche. Uno studio prospettico condotto da psichiatri infantili giapponesi ha esaminato 463 casi di giovani di meno di 21 anni con una storia attuale o passata di hikikomori. 

Le sei diagnosi principali individuate dallo studio – secondo i criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders redatto dall’American Psychiatric Association – sono:  

  • disturbo pervasivo dello sviluppo (31%), che interessa le integrazioni sociali, le capacità linguistiche verbali e gestuali e le abilità psicomotorie e attitudinali; 
  • disturbo d’ansia generalizzato (10%);  
  • disturbo distimico (10%), vale a dire una depressione cronica più lieve nei sintomi rispetto alla depressione maggiore ma prolungata nel tempo; 
  • disturbo di adattamento (9%); 
  • disturbo ossessivo-compulsivo (9%);  
  • schizofrenia (9%). 

 

Gli hikikomori si isolano per diversi motivi. Spesso questi ragazzi, più sensibili e fragili dei loro coetanei, non riescono a sopportare tutta una serie di pressioni che provengono dalla società di oggi: l’esigenza di prendere buoni voti a scuola, di avere una carriera di successo, di essere belli e alla moda. Tutto ciò provoca in loro ansia e paura del fallimento, portandoli di conseguenza all’isolamento sociale. I primi segnali che si manifestano e che dovrebbero destare preoccupazione nei genitori sono le assenze scolastiche, la preferenza per le attività solitarie, l’auto-reclusione, l’inversione del ritmo sonno-veglia. Nei casi più gravi, possono decidere di non uscire dalla loro stanza per mesi o anni, interrompendo qualsiasi forma di comunicazione. L’unico strumento che consente loro di avere contatti con l’esterno è la tecnologia digitale 

E il lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19 rischia di camuffare il fenomeno: essendo i giovani costretti a rimanere in casa a causa delle restrizioni, quelli che ci sarebbero rimasti comunque per scelta (gli hikikomori) passano quasi inosservati. Gli stessi genitori di questi giovani sembrano preoccuparsi di meno, perché anche altri ragazzi sono “chiusi” in casa.   

La situazione in realtà per gli hikikomori potrebbe peggiorare: chi prima del lockdown stava cercando di uscirne vivrà le restrizioni come una scusa per procrastinare la ripresa della vita sociale, le cure psicologiche a cui magari si era sottoposto e rimandare quindi la ‘guarigione’. Per chi invece non aveva nessuna intenzione di uscirne, c’è il rischio di un contraccolpo psicologico molto forte: se è vero che molti hikikomori hanno tratto sollievo da una società bloccata (come lo sono loro), cosa proveranno quando tutto riprenderà normalmente e le persone torneranno a vivere normalmente? Potrebbero realizzare che la loro ‘quarantena’ non è un periodo momentaneo causato da fattori esterni, come per le altre persone, ma una prigionia che può durare potenzialmente tutta la vita.