Mal di testa, dolori articolari, stanchezza, anemia, problemi respiratori. E ancora, scompensi metabolici, cardiaci, vascolari. Non risparmia nemmeno i reni e la pelle. Parliamo della sindrome Long COVID, vale a dire quello strascico di sintomi, che possono durare mesi, e che possono interessare i soggetti guariti dalla COVID-19, soprattutto quelli che sono stati ricoverati in ospedale.
Si tratta di una sindrome su cui si hanno più dubbi che certezze e che ogni giorno presenta un conto diverso. E riguarda anche la salute mentale perché può causare depressione, ansia e disturbi del sonno.
Come l’ha definita meglio il professor Tim Spector del King’s College di Londra, questa è “l’altra faccia della COVID”. Una sindrome che non risparmia nessuno: giovani, anziani, chi ha avuto sintomi gravi, chi lievi. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, circa tre quarti delle persone che sono state ricoverate per la COVID, non riesce a riprendersi del tutto.
Tra il 20% e il 50% di questi pazienti presentano anomali polmonari anche a distanza di mesi, soprattutto per i casi più gravi di malattia.
Per gestire in modo tempestivo la sindrome di Long COVID occorre seguire i pazienti dimessi fin da subito, non solo per comprendere l’associazione tra le condizioni extrapolmonari e l’infezione da SARS-COV-2, ma anche per cercare di ridurre la mortalità con una efficiente prevenzione.
Secondo uno studio, il più completo finora realizzato su questa sindrome, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, aver contratto la COVID-19 può in effetti aumentare il rischio di morte nei sei mesi successivi alla guarigione, rischio che aumenta in relazione alla gravità della malattia.
La ricerca è stata svolta dagli esperti della Washington University School of Medicine di St. Louis che hanno analizzato i dati di 87mila pazienti COVID. Dalle analisi effettuate pare che, nei sei mesi successivi alla guarigione, il rischio di morte aumenti oltre il 50% rispetto al rischio associato ad altre patologie.
Lo studio ha anche comparato la COVID-19 con l’influenza stagionale, riscontrando come i pazienti ricoverati per il SARS-COV-2 avessero un rischio di mortalità superiore al 50% rispetto a quelli ricoverati per l’influenza.
Questa sindrome potrebbe rappresentare la prossima crisi sanitaria, dopo quella causata dal coronavirus. E potrebbe durare anni, se non decenni. I pazienti con questa sindrome necessitano di un approccio multidisciplinare e soprattutto di un intervento tempestivo.
In Italia ci sono già ambulatori ospedalieri che seguono i pazienti guariti dalla COVID-19 e questo sicuramente potrà aiutare a definire meglio la Long COVID e provare ad arginarla e prevenirla.